lunedì 26 gennaio 2009

Cina e crisi mondiale. I 36 stratagemmi tornano utili?

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Come ho sempre sostenuto, economia, societa', cultura e storia cinese sono un intreccio indistinguibile, e ognuno di questi elementi ha riflessi sugli altri. Non si capisce l'economia cinese senza conoscere la storia e la cultura di questo Paese. Cultura e storia in Cina sono catalizzatori e "booster" dell'economia, anche quando, ad una analisi superficiale, non si distinguono questi elementi nello sviluppo economico, o nella complessa e schizofrenica realta' sociale cinese. Questi aspetti sono stati in molti casi una ragione, non riconosciuta, (la cosa peggiore e' proprio "non sapere di non sapere") di disfatte, incomprensioni, abbandono del campo da parte di molte imprese europee.

Ora ci si mette anche la crisi, ed in questo scenario ritorna forse utile richiamarci alle antiche strategie cinesi, spacciate o camuffate da strategie militari (anche questo forse e' uno stratagemma), ma forse utili per leggere la crisi, e affrontarla con la visione e la strategia dei cinesi. Le basi culturali delle strategie cinesi sono innumerevoli. Da "L'arte della guerra", al "Libro dei cambiamenti", (l’Yi Jing) fino a "I 36 stratagemmi", risalente probabilmente alla dinastia dei Ming (1366-1610), e probabilmente scritto da monaci guerrieri.
Strategie e stratagemmi nella cultura cinese sono intrecciate, si sviluppano, sostengono e giustificano a vicenda.

Con una operazione certamente semplicistica, scorporiamo dal tutto solo alcuni degli stratagemmi cinesi, per capire se e come la storia e le modalita' culturali cinesi potrebbero aiutare ad assumere decisioni e disegnare strategie rispetto alle problematiche della crisi globalizzata.
Il concetto fondamentale di questi stratagemmi, come delle strategie cinesi in generale, è "l'arte di vincere il nemico senza opporvisi", cioè la capacità di entrare in sintonia con le leggi della natura e della vita, per volgerle a proprio vantaggio con il minimo sforzo. Si tratta della stessa filosofia che ispira alcune delle arti marziali in cui chi attacca finisce per essere vittima della sua stessa forza, che gli viene rivolta contro attraverso uno spostamento di equilibrio e un unico gesto. Significa in sostanza seguire a fondo "i cicli". Anche quando sono sfavorevoli, le contingenze presentano sempre opportunita'.
Non a caso il concetto di "crisi" in cinese si traduce con due ideogrammi 危機, il primo, 危 wei, significa pericolo. Il secondo, 機 ji, significa opportunita'. Basterebbe questo per dare una sintesi di come i cinesi vedono le cose.

Consapevole dei "rischi culturali" che mi assumo con questo uso improprio, e magari anche approssimativo, degli stratagemmi, scusandomene quindi con i "cultori ortodossi", proviamo ad esemplificare l'uso di alcuni di questi nella realta' economica di cui mi occupo: le strategie di internazionalizzazione.

Il Secondo stratagemma sostiene: "Assediare Wei per salvare Zhao”: è più saggio sferrare un attacco quando le forze nemiche sono disperse. I nostri concorrenti internazionali sui mercati mondiali non hanno avuto bisogno di usare questo stratagemma. Il "sistema Italia" nel mondo e' "disperso" da sempre. I concorrenti hanno solo dovuto aspettare i frutti della situazione.

Il Quinto stratagemma sostiene: "Approfittare dell'incendio per darsi al saccheggio”: attaccare direttamente il nemico, quando si trova in un momento critico. La crisi internazionale e' un momento molto critico per tutti, inclusi i concorrenti cinesi, che in molti casi non hanno avuto il tempo di consolidare strategie di marketing internazionale, di dare spessore qualitivo adeguato ai loro prodotti, di formare, consolidare e irrobustire le Risorse Umane. In questa fase possono uscire i grandi vantaggi della storia europea, fatta di qualita', immagine, forza commerciale. I cinesi per un po' saranno impegnati a leccarsi le ferite industriali derivate dall'aver concentrato gli sforzi sulla manifattura per conto terzi. Supereranno le difficolta', ma il Sistema Italia ha davani un momento (ma sara' solo un breve momento) per sfruttare al massimo i propri "plus", magari acquisendo concorrenti cinesi in difficolta', o investendo nel sistema distributivo.

In questa logica, possiamo usare anche il Sesto strategemma: "Clamore a Oriente, attacco a Occidente”: attaccare quando il nemico perde il controllo ed è nella confusione", e l'Ottavo: “Avanzare di nascosto verso Chenchang”: attaccare di sorpresa, di soppiatto.

Continuando con questa inusitata (e spregiudicata) modalita' di interpretazione della cultura cinese, possiamo citare il 23.mo stratagemma: “Allearsi ai lontani per attaccare i vicini”: è più facile conquistare i nemici vicini che i lontani. E per far questo ci si può alleare temporaneamente con i nemici lontani".

La battaglia commerciale e industriale tra le imprese occidentali oggi si combatte in Asia. Molte aziende tedesche, francesi, americane, hanno struttuato da anni la loro presenza in questo continente, creando alleanze, esperienze, potenzialita' che hanno puntualmente sfruttato per combattere le battaglie commerciali in occidente, mietendo vittime illustri anche tra le realta' industriali del Bel Paese.

Per finire, cito forse lo stratagemma che piu' sintetizza la mia idea rispetto ai concetti di internazionalizzazione delle economie: il 30.mo: "Mutarsi da ospite in padrone di casa”: estendere abilmente la propria influenza nel nemico, mettendolo finalmente sotto il vostro controllo.

L'applicazione di questo stratagemma, che in realta' e' un risultato delle strategie messe in atto, sinifica proprio passare da un concetto di internazionalizzazione "spot", quindi superficiale, senza impegno, con visione a breve, ad un concetto strategico di internazionalizzazione, in base al quale il mondo intero diventa casa nostra, e nel quale ci sentiamo "a casa". Un concetto molto difficile per le piccole e medie imprese italiane, nate e cresciute spesso in realta' provinciali nelle quali si sono arroccate, lasciando ad altri il controllo di un mondo esterno (in particolare del mondo asiatico), senza accorgersi che le leve del mondo, manovrate dalle industrie, dai grandi flussi finanziari e dalle oculate politiche governative dei Paesi asiatici, si stavano spostando da occidente ad oriente. Le strategie delle imprese italiane all'estero si sono spesso ridotte ad essere "ospiti" nei vari Paesi, altre economie hanno consolidato le presenze fino ad essere "padroni di casa" in molti settori industriali asiatici. Hanno piantato radici, ora trattano alla pari "con il nemico"

venerdì 23 gennaio 2009

Asia: le opportunita' della crisi

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Che l'Asia stia soffrendo la crisi economica e finanziaria mondiale, non vi sono dubbi. La chiusura di DECORO a Shenzhen (uno dei maggiori investimenti italiani in Cina), considerato il piu' grande produttore mondiale di divani, con un fatturato di circa 500 milioni di Euro, che ha deciso in questi giorni di mettere in liquidazione l'azienda, ne e' un caso emblematico.

Ma i cinesi dicono che tutte le nuvole hanno una linea argentata, e questo sembra quanto mai vero sui mercati asiatici.
Nel corso di una indagine di mercato che stiamo conducendo in Vietnam per conto di un importante gruppo industriale italiano in questi giorni, mi e' tornata alla mente piu' volte una citazione, a cui non so piu' attribuire la paternita', ma che trovo molto adatta alla attale situazione economica: "Esistono due tipi di aziende, quelle veloci e quelle morte".
La reattivita' sui mercato, la velocita' di decisioni strategiche, la flessibilita' mentale di manager e imprenditori si sta rivelando la chiave per uscire dalla crisi. Le imprese "veloci" stanno utilizzando la crisi spostando il focus sui mercati di grande espansione, bilanciando il peso della recessione sui mercati occidentali. Il Vietnam, secondo uno studio di un importante centro ricerche, crescera' in media del 9% nei prossimi dieci anni. Lo stesso studio sostiene che il consumatore vietnamita sceglie ancora, nel 70% dei casi, sulla base del prezzo, ma che la sensibilita' verso i Marchi e verso il rapporto prezzo/qualita' sta crescendo vertiginosamente, in parallelo con la crescita della classe media.
Il mercato al consumo per il prodotto italiano in Vietnam appare immenso, ma le difficolta' di accesso a questo mercato (finanziarie, culturali, logistiche), e la necessita' di investire a medio termine frenano le mosse delle PMI italiane.
Altri nostri clienti stanno usando la crisi per strutturarsi in maniera pesante sul mercato cinese, acquisendo, a prezzi molto convenienti, aziende di produzione in difficolta' per il calo drammatico degli ordini dagli USA.
La crescita della Cina nel 2008 (dato ufficiale di pochi giorni fa) e' stata del 9%. Si tratta del primo anno di crescita sotto il 10% dopo tanti anni di crescita a doppia cifra, ma e' pur sempre un 9%, e tutte le previsioni per il 2009 danno la crescita cinese intorno all'8%. In calo si, ma e' una "crescita" in calo, non e' recessione.
Ma soprattutto, il contenuto della crescita cinese e' dato per la prima volta in buona parte dai consumi interni, e molto meno dalle esportazioni, in linea con la proclamata strategia del governo cinese. I 600 miliardi di dollari che il governo cinese ha messo a disposizione per fronteggiare la crisi, non andranno a coprire perdite di banche e istituti finanziari (come succede per i fondi USA) ma sono denaro fresco sul mercato. Il che significa maggiore disponibilita' di disposable income per i cinesi, quindi maggiori consumi interni.
In questo quadro le imprese veloci stanno sfruttando la situazione in maniera straordinaria. Un importante gruppo italiano nel settore moda, ha aperto 400 punti vendita in Cina in 4 anni, con marchio cinese e styling italiano, (la mia teoria dell' Italian Style - China Made applicata perfettamente), posizionando i prezzi al livello corretto (e molto profittevole) rispetto ai consumatori medi cinesi.
Fuori da queste realta', rischiamo aziende morte o moribonde. Nelle ultime settimane riceviamo una quantita' enorme di richieste di PMI italiane che richiedono assistenza per entrare nel mercato cinese del consumo. Poche di queste hanno una qualche consapevolezza dei tempo, investimenti, pianificazioni necessarie per farlo. Nella maggior parte sembrano richieste di soccorso. I loro principali clienti si sono spostati con le produzioni in Asia, e queste aziende non sono state abbastanza veloci, o capaci, nel seguire questi spostamenti, con il risultato che ci si trova improvvisamente senza ordini, essendo calati i sostituti europei e americani.
Queste imprese non hanno futuro in Asia. Mancano prospettive strategiche, capacita' o volonta' di investimento (margini e cash flow sono stati erosi nel vano tentativo di fronteggiare la concorrenza asiatica a colpi di sconti e tagli dei margini).
Manca la capacita' di aggregare filiere e di fare fronte comune, ottimizzando le risorse per tagliare i costi e ridurre l'impatto degli investimenti. Manca, e' vero, anche una politica pubblica di indirizzo, spesso orientata alle grandi imprese e poco attenta alle esigenze delle PMI.
In Vietnam sembra che ICE, Governo e Confindustria si stiano impegnando in maniera diversa. Alcuni recenti accordi tendono a favorire le filiere produttive dove i nostri distretti possono inserirsi, e attraverso questi interventi potremmo probabilmente vendere la nostra merce piu' preziosa: il know how in termini di tecnologia, estetica, bellezza, stile italiano. In tutti i settori.



venerdì 16 gennaio 2009

Made in Italy nel paniere dei regali per il Capodanno Cinese

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Nella tradizione dei regali per il capodanno cinese, il regalo di cibo ha una lunga storia. Si regalano soprattutto dolci, ma anche cibi particolari. Quest'anno avremo certamente un po' piu' di Made in Italy nel paniere dei regali. Ho accompagnato la General Manager di una importante Societa' cinese ad acquistare i regali per i 20 collaboratori del suo Ufficio. Intendeva acquistare olio d'oliva! (Come cambiano i tempi). Nel grande supermercato popolare cinese, lo scaffale dell'olio d'oliva e' decisamente molto piu' grande di qualche anno fa. Spagnoli e cinesi la fanno da padroni, insieme a pochi marchi italiani. La decisione su quale olio comprare non e' stata semplice, lunghe discussioni con le commesse su prezzi e confezioni-regalo, ma niente sulla qualita'. Ho cercato allora di spiegare alla manager che avrebbe dovuto comprare olio d'oliva extravergine italiano. Il marchio piu' interessante era OLIVOILA, sconosciuto in Italia ma molto noto in Cina. Tutti gli altri marchi italiani presenti erano comuqu di aziende a proprieta' spagnola. Una mezz'oretta a spiegare che avrebbe fatto bella figura (l'Italia fa sempre status), che cosa significava la scritta "Extra Virgin", che cosa significava spremuto a freddo, e quanto siamo bravi noi a fare l'olio. Alla fine e' andata, 20 bottiglie vendute! Impacchettamento-regalo e via ! Una piccola soddisfazione nazionalistica, anche se poi scopro che, pur riportando l'etichetta "Origine Italiana", l'olio e' venduta da una multinazionale olandese, e, a quanto capisco dall'etichetta, e' "confezionato in Cina". Chissa' cosa significa. Forse solo che noi siamo tanto bravi a fare eccellenti materie prime agro-alimentari, ma quanto al marketing..

Ancora sul vino in Cina. I cinesi stanno imparando

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In primo piano la figura di Judy Leissner, una intraprendente manager cinese che sei anni fa ha fondato l'azienda vinicola Grace Vineyard (怡园酒庄).

Leggete l'articolo (in inglese) pubblicato da China International Business

domenica 11 gennaio 2009

Chiude la Iris Ceramica. Colpe alla "Valanga Cinese"

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Chiude la Iris Ceramica di Sassuolo, terzo gruppo italiano nel settore ceramica, 500 milioni di fatturato, oltre 700 dipendenti a casa. Ho informazioni solo da organi di stampa, che riportano le motivazioni per la messa in liquidazione volontaria.
Le ragioni di questa decisione, secondo queste fonti, vengono fatte risalire alla crisi mondiale e, naturalmente, alla valanga cinese, che hanno fatto crollare le vendite di oltre il 50%.
Leggo anche, dalle stesse fonti, che si sono recentemente investiti 6 milioni per ristrutturare uno stbilimento dedicato alla produzione del terzo fuoco (una lavorazione particolare della ceramica, di particolare pregio e valore).

Essendoci occupati approfonditamente, come Societa', del prodotto "terzo fuoco" in Cina, per conto di un'zienda italiana del settore, ed avendo verificato che il costo della produzione cinese del terzo fuoco va dal 10 al 30% di quello italiano, mi chiedo se investire in questo settore in Italia avesse effettivamente un significato economico. Battere la concorrenza cinese in questo settore e' del tutto improponibile, mentre la si puo' battere (collaborando con i cinesi), puntando sul vero valore del Made in Italy: lo stile, il design, la creativita', l'estetica.

Da tempo vado diffondendo il concetto di Italian Style - China Made, capace di mantenere attive le imprese italiane, valorizzando il Made in Italy, riconvertendo i dipendenti dalla produzione ai settori "software" della catena industriale.

Questo concetto richiede alcune riflessioni importanti nel sistema industriale italiano:

1. Il Made in Italy non significa per forza produrre in Italia. Il vero valore e' lo stile e la bellezza. Investire in produzione potrebbe non essere la strada giusta

2. Investire in formazione, riconversione, sviluppo commerciale, marketing e sinergie internazionali, puo' essere una chiave vincente

3. Riconoscere che il sistema industriale cinese ha fatto passi da giganti sul piano della qualita' del prodotto, creando una fortissima concorrenza internazionale. Pochi invece i passi in direzione dello stile, del design, dell'appeal estetico. Questo ritardo cinese e' ben noto ai cinesi stessi, sanno che copiare non basta.
Questo ritardo e' uno spazio vitale per le imprese italiane del Made in Italy, che pero' non sembrano ancora attrezzate per occuparlo.

Cito spesso il caso del settore sportware di Montebelluna (Treviso), una concentrazione industriale in un distretto verticalizzato (molto simile a quello di Sassuolo) nel settore della calzatura e dell'abbigliamento sportivo. La riconversione dalla produzione (trasferita tutta in Asia) e' iniziata molti anni fa. In questo periodo il distretto (e la sua occupazione) ha tenuto perfettamente, mantenendo il marchio di Montebelluna ai vertici mondiali, competendo alla pari con i grandi competitor mondiali americani e tedeschi.