giovedì 26 febbraio 2009

Affari con la Cina: L'Italia non c'e'

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Riprendo da REPUBBLICA ON LINE di oggi lo sconfortante articolo sugli affari Europei in Cina.

Affari con la Cina , l'Italia non c'è.
Dieci miliardi di contratti firmati in Germania: è il primo risultato concreto della tournée di grandi imprenditori cinesi in visita in questi giorni in quattro paesi europei (oltre alla Germania anche Inghilterra, Spagna e Svizzera). La delegazione era stata annunciata dal premier cinese Wen Jiabao in occasione del suo viaggio ufficiale in Europa a fine gennaio. Si conferma la volontà di Pechino di apparire come un partner benefico in tempi di crisi, usando una parte delle ricchezze cinesi per "redistribuirle" in Occidente e frenare così le nostre tentazioni protezioniste. L'Italia non figura in questo itinerario.

domenica 8 febbraio 2009

Crisi, Made in Italy da (ri) fabbricare

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"La Crisi", come oramai viene definita in maniera semplicistica, avra' almeno il merito di far emergere i grandi vincoli-freni culturali e industriali delle imprese italiane e del loro management, ammesso che cosi' si possa definire la folta schiera di self-home-made-imprenditori e della ancora maggiore schiera di figli catapultati dentro ad un comodo posto in Consiglio di Amministrazione con qualche incarico operativo per il quale molto spesso non hanno avuto alcuna preparazione specifica.


Dal nostro osservatorio cinese ci stavamo aspettando un ripensamento strategico sul ruolo dei mercati asiatici come grandi mercati di sbocco commerciale, una creativa rielaborazione delle strategie di internazionalizzazione, una disponibilita' ad imparare gli approcci corretti per l'entrata in questi Paesi, e ad investire per recuperare in Asia le quote di mercato che nel resto del mondo stanno drammaticamente crollando.


Ma non sta succedendo questo. In effetti assistiamo ad un vero tentativo di arrembaggio alla Cina, con la pretesa di recuperare in due / tre mesi, un cronico ritardo decennale. Naturalmente non funziona. Riceviamo quasi quotidianamente mail e telefonate di imprese che vorrebbero "vendere cin Cina", e, per prassi aziendale rispondiamo correttamente a tutti, informandoli pero' onestamente sulle difficolta', sui tempi, sulle necessita' di investimento, sulla necessita' di strutturare una presenza stabile sul territorio, con il conseguente investimento in risorse umane.


I ritorni che abbiamo sono veramente poco edificanti. Citando a caso alcuni recenti episodi, tentiamo di fare alcuni esempi:


1. Una piccola azienda nel settore accessori moda, rifiuta, dopo molti ripensamenti, di investire 10.000 Euro per partecipare ad un progetto consortile finanziato a 50% dalla Regione per la penetrazione commerciale in Cina. L'Azienda ha sempre lavorato per conto di griffe del Made in Italy, che ora hanno tagliato i cordoni della borsa, e producono in proprio, o in outsourcing in Asia. Era l'occasione per avviare, a costi bassissimi, un progetto di penetrazione commerciale in Cina. Azienda familiare, con un figlio giovane e brillante che non avrebbe pero' alcuna voglia di farsi qualche (frequente) viaggio in Asia. Sui mercati tradizionali, l'Azienda, senza un proprio marchio e con nessuna struttura distributiva, e' destinata a chiudere. Non sanno nulla dell'Asia. Vorrebbero semplcemente "vendere", ma da soli non avranno la forza per farlo. Il destino e' segnato.


2. Una media azienda, molto ben governata, con grandi competenze tecniche nel settore impiantistico e industriale, ha visto tagliate le commesse del 50%. In Italia non si costruiscono piu' fabbriche, e le manutenzioni agli impianti si sono ridotte moltissimo. Sanno che in Cina c'e' un grande mercato in questo settore, ma e' presidiato da Giapponesi, Tedeschi, Coreani, e non hanno alcuna possibilita' di scalzarli se non cominciando a rosicchiare pian piano quote di mercato, piazzando un Ufficio di Rappresentanza in Cina, assumendo un bravo ingegnere che funge da tecnico-commerciale, e iniziando a replicare il modello di business che li ha resi cosi forti in Italia.


L'imprenditore, nel corso del colloquio, mi confessa di aver deciso, alcuni anni fa, di rinunciare a commesse fuori regione, che tanto, di lavoro di fare nella Provincia ce n'era a iosa.


L'idea di avviare un business in Cina, sul modello da me proposto, e' lontana mille miglia dalle sue ipotesi. Hanno in Azienda il figlio trentenne di uno dei soci, ma l'idea di spedirlo in Cina per avviare il business non viene nemmeno considerata. Forse non parla inglese? Forse non viene considerato all'altezza? Non so. Di certo recuperare il calo di commesse sul mercato italiano o europeo appare una chimera. L'imprenditore ne e' conspevole, ma non riesce ad elaborare una strategia alternativa. Destino segnato? Spero di no. Ci lavorano ottanta persone.


3. Il vino italiano. Recentemente le esportazioni di vino italiano in Cina stanno crescendo al galoppo, provocando una velleitaria corsa alla Cina da parte degli innumerevoli produttori italiani. Anche in questo caso, molta improvvisazione, scarsa o nulla conoscenza del mercato, richieste di "trovare un importatore". Le nostre proposte sono sempre molto piu' complesse, e riguardano il posizionamento del marchio, il controllo diretto sulla distribuzione, la necessita' di inquadrare la vendita nel conceto di "Italian lifestyle", con annessi e connessi, inclusa l'attivita' di "educazione del gusto dei cinesi". Anche qui quindi, struttura nel Paese, investimenti, risorse umane. Riscontro quasi zero.


Pare quasi che il "guizzo creativo" degli Italians, la capacita' di azione rapida, la visione lunga, siano sensi assopiti dalla crisi. I grandi brand del Made in Italy sono in buona parte passati sotto il controllo di "equity fund", poco interessati a sviluppo, marchio, occupazione, ma ovviamente molto piu' interessati ai margini a breve (o alla riduzione delle perdite).


Grandi esperienze, anni di lavoro per la costruzione di reputazioni affidabile sui mercati internazionali, tradizioni artigianali di altissimo livello, gusto e raffinatezza dei prodotti fashion, antichi valori della tradizione agricola e del cibo italiano, sembrano seppelliti sotto una coltre di immobilismo che costringera', nel breve, alla (ri) fabbricazione del Made in Italy